INSEGNACI A PREGARE: DIRE “PADRE” E VIVERE DA FRATELLI

Al discepolo che chiede: “Insegnaci a pregare”, Gesù risponde con il PADRE NOSTRO, a cui fa seguire alcuni esempi/parabole su cosa succede quando vengono chieste delle cose con insistenza (Luca, 11,1-13).
Tutto il brano ruota intorno al nome nuovo con cui possiamo rivolgerci a Dio: chiamarlo come lo chiama Gesù. Tutte le religioni hanno una vasta terminologia con cui si appellano alla divinità, penso ai 99 nove nomi dell’Islam; ma nessuna fede, nessuna preghiera, nessuna invocazione lo chiama Padre. Nell’Antico Testamento qualche volta succede, ma timidamente, come di chi osa troppo. 
“Padre” lo può dire solo un figlio, e noi lo diciamo a imitazione e su invito del Figlio Gesù. Nell’andamento umano delle cose, padri si diventa. Ma Dio non diventa Padre, lo è da sempre perché dall’eternità ha di fronte a sé il Figlio unigenito “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Per chi accoglie il Vangelo, l’idea di Dio e quella di Padre sono inseparabili. Di qui la preghiera di Gesù.
Tutti gli altri modi di dire Dio (Altissimo, Onnipotente, Eterno, Assoluto, Onnisciente e anche Misericordioso, Creatore, Santo, Benefico...) si riferiscono sempre a ciò che Dio è in sé stesso; anche a ciò che fa, a come Lui si pone nei confronti delle creature e però a prescindere dalla reciprocità. Ma il termine Padre comporta una relazione, non si è padri se non ci sono dei figli con i quali rapportarsi, con un legame inseparabile e definitivo. Finché il figlio c’è, e anche se dovesse venir meno, il sentimento paterno è insopprimibile.
Se questo è vero per ogni paternità umana, tanto più deve valere per quella divina. La frase di Gesù è emblematica: “se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli...”. Se è insopprimibile per un padre il desiderio di bene per il proprio figlio, per Dio-Padre questo deve essere vero alla massima potenza. E infatti il Padre celeste non dà ai figli che si rivolgono a lui “qualcosa”, ma lo Spirito Santo: cioè immette ciascuno di noi in quell’abbraccio d’amore che è la Trinità. Dio ci fa vivere della sua stessa vita!
Due conseguenze: la prima riguarda il nostro pregare, il nostro modo di relazionarci con Dio. Lo percepiamo davvero come Padre? Le nostre preghiere (di richiesta, di lode, di ringraziamento, di contestazione...) sono quelle di un figlio che si rivolge al padre? Oppure prevale l’idea di una divinità astratta e lontana, oppure a misura dai nostri limiti troppo umani?
L’altra conseguenza è la fraternità: la grande famiglia umana, tutti figli e figlie dell’unico Padre, a cominciare dai legami fraterni con i membri della propria comunità (ecclesiale e civile) da estendere ogni essere umano: ogni uomo è mio fratello! Trai membri della stessa famiglia non possono esserci uguali e diversi, noi e loro, buoni e cattivi, preferiti e scartati, prima questi e dopo quelli...
Don Antonio Cecconi